Sergio Cofferati, detto il "cinese", lascia il PD ma non per fondare un nuovo partito. Sono abbastanza convinto della integrità del nostro per credergli ma in questa sua intenzione di non creare un nuovo soggetto politico vi è anche la spiegazione del suo abbandono. Da quando Silvio Berlusconi è sceso in campo abbiamo assistito ad una personalizzazione della politica. Nel caso del Silvio il partito è diventato una azienda padronale (quindi personale), ma non diamo eccessivi (de)meriti al satrapo di Arcore, la tendenza è mondiale (o almeno occidentale). L'esempio più paradigmatico è Grillo, il partito di una persona che non è neppure un politico e non può neppure ricoprire certe cariche a causa della legge Severino. Ma abbiamo visto in questi anni altri esempi di partiti / persona, basti pensare al "centro" con i vari Fini, Casini, Monti. Eccezione è il PD che è un partito "classico" che ha però subito un processo di "personalizzazione" da parte di Matteo Renzi. Proprio con questo processo il nostro Sergio (Cofferati) è andato in rotta di collisione e la sua uscita diventa quasi obbligatoria. Ma la sua intelligenza gli evita l'errore di creare l'ennesimo partitino di cui la sinistra dura e pura (di cui lui è rappresentante vedasi il suo soprannome) non ha certo bisogno. Ha ragione quindi Cofferati? Si se uno vuole restare nella concezione anni 70 di partito, ma tale concezione (condivisa dai Bersani, D'Alema, Civati) ha portato ai disastri come il secondo governo Prodi o la recente "non vittoria" alle elezioni politiche. Quindi temo che sia proprio un problema generazionale quello con cui si è confrontato. Ma il fatto che questo strappo si consumi a fronte di una sconfitta (il risultato non cambia anche con le sezioni annullate vedi) getta una luce "sinistra" sulla sua scelta.
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